L'artista presente al Festival con letture, un concerto e due rivisitazioni teatrali, ha stupito però il pubblico con la Commedia dell'Arte. Il suo 'Harlequino on to Freedom' è una geniale ed accurata visione di questa perla tutta italiana.
Considerato uno dei rivoluzionari del mondo della celluloide, Tim Robbins, vincitore di un premio Oscar, non smette di sorprendere al Festival dei due mondi di Spoleto. Animato dal desiderio di portare in scena tematiche sociali ed attuali, ha unito questa sua battaglia ad una delle arti più antiche, nate e cresciute nel nostro bel paese.
Harlequino on to Freedom è un capolavoro di tecnica, studio della materia e perfezione delle caratteristiche delle maschere. La sua Actor’s Gang si muove in platea (principalmente) e sul palco come se da sempre la nostra Commedia fosse nel loro dna. Loro, che sono guidati da ormai dieci anni da Robbins nell’insegnamento della recitazione nelle carceri americane, salgono sul palco e danno voce ad Arlecchino facendolo ‘ragionare’ sulle differenza tra servo e schiavo, si chiede se viene dall’Africa (in quanto ha la carnagione scura), quanto il suo padrone abbia offerto per averlo, che cosa sono le monete del suo salario. Convinzione di Robbins è che i giullari facessero discorsi simili nelle piazze del Cinquecento.
Harlequino: on to Freedom cerca di dare una risposta a diverse questioni: cosa sappiamo dei primi cento anni della Commedia dell’Arte? Chi sono quegl’ignoti interpreti? Cosa contava per i poveri e i poverissimi nel 1530 in Italia? Perché in un documento troviamo menzione che il Duca di Mantova si sentì offeso da una compagnia al punto da impiccarne tre attori? Chi erano questi coraggiosi e acrobatici attori che osavano sfidare il potere per raccontare la verità? Ambientato tra 1530 e 2016, lo spettacolo racconta la storia di una compagnia di attori girovaghi che irrompe in una conferenza sulla Commedia dell’Arte. Lo spettacolo si domanda come la storia viene scritta, cos’è divertente, quando un servitore diventa uno schiavo e perché vale la pena parlarne ancor’oggi.
L’Arlecchino di Robbins ha sfumature più tenui, meno furbo e sicuramente più eroico rispetto al ritratto che ne abbiamo. Ma anche gli altri personaggi in scena portano ‘adattamenti’ caratteriali per non essere troppo distanti nel tempo. l’Inquisitore, il Dottore, Pantalone, il Capitan Spavento, Pulcinella, la Bella Vedova. Il meglio della rappresentazione classica contaminata da musica folk e jazz (composta dal fratello David Robbins insieme a Ken Palmer). Inoltre danza, canzoni, monologhi sulla libertà, la censura, l’arte, una sequenza di lazzi da lasciare senza fiato. Attori che per tre ore di spettacolo hanno mantenuto energia, presenza, hanno trasmesso passione e voglia di omaggiare questo mestiere. A nulla è valso l’inconveniente della rottura della maschera in scena. Lo spettacolo è filato senza sosta e senza il minimo cedimento. Fino alla fine.
Uno spaccato di commedia dell’Arte che non si vedeva dai tempi del Mistero Buffo di Dario Fo, ancora più articolato e rispettoso per questo nostro orgoglio artistico. Tim Robbins ci ha ricordato da dove veniamo artisticamente e che, se ci crediamo e ne analizziamo le radici, riusciamo a ridimensionare il potere che hanno i kolossal americani.